La sentenza n.141 dell’8 luglio del 2021, ribadendo un orientamento giurisprudenziale già consolidato in materia di tutela del paesaggio, rende manifesti i riverberi del principio di leale collaborazione Stato-Regioni sulla disciplina de qua. In primo luogo, la sentenza in commento stabilisce che le Regioni possono intervenire sia sulla definizione di bosco sia su quella di aree assimilate e di aree escluse, ma non possono in nessun caso ridurre il livello di tutela e conservazione assicurato dalla normativa statale. In secondo luogo, essa specifica che la preventiva autorizzazione paesaggistica per interventi su beni tutelati, prevista dall’art. 146 del d. lgs n.42 del 2004, deve essere resa per ogni singolo intervento in virtù del principio di prevalenza della tutela del paesaggio.
Il caso prende le mosse dal ricorso con cui il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6, comma 1, lettere b), c), d) ed e), 7, comma 7, lettera c), 9, commi 9, lettera d), numero 1), e 16, e 10, comma 11, della legge della Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1 (Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione), in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettere m) ed s), della Costituzione e delle seguenti norme interposte: artt. 20, 21, 135, 142, 143, 145, 146 e 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137. In sintesi, il ricorrente asserisce la lesione delle competenze statali in materia di tutela del paesaggio.
La vicenda si ricollega alla sentenza n. 240 del 2020 della Corte costituzionale, con la quale è stato annullato il Piano paesaggistico della Regione Lazio (PTPR) del 2019 per la mancata intesa tra Regione e Stato. L’approvazione del piano paesaggistico da parte della Regione senza un accordo con il Mibact, secondo la Corte, viola il principio di leale collaborazione, oltre che il Codice dei Beni culturali e del paesaggio. Dopo la sentenza n.240 del 2020 e a seguito di un periodo di reviviscenza dei PTP previgenti, sono riprese le trattative tra la Regione Lazio e il Ministero, che hanno consentito al Consiglio regionale di pervenire, nella seduta del 21 aprile 2021, all’approvazione di un nuovo PTPR. Delineata a grandi linee la cornice di riferimento in cui si collocano le norme impugnate, trattiamo nel dettaglio la sentenza. La decisione può essere suddivisa in tre filoni principali, di seguito esposti.
Il primo attiene alla relazione tra i vincoli paesaggistici previsti dalla normativa statale e gli altri strumenti di pianificazione di competenza territoriale. Le questioni di legittimità costituzionale riguardano gli artt. 6, comma 1, lettere b), c), d) ed e), 7, comma 7, lettera c), numero 1), e 10, comma 11, della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 135, 142, 143 e 145 del d.lgs. n. 42 del 2004, dal Presidente del Consiglio dei ministri. Le censure sono state oggetto di una comune trattazione preliminare poiché il ricorrente ha censurato, in termini sostanzialmente coincidenti, le disposizioni regionali impugnate a causa del mancato richiamo dei vincoli paesaggistici previsti dalla normativa statale interposta e, in via mediata, dell’omesso riferimento al Piano territoriale paesistico (PTPR) della Regione Lazio. Per ciascuna norma impugnata il Giudice delle leggi ha ribadito che «[i]l principio di prevalenza della tutela paesaggistica deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito […] adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto» (sentenza n. 74 del 2021; nello stesso senso, anche sentenze n. 101, n. 54 e n. 29 del 2021). In virtù di tale presupposto, ripetutamente affermato (tra le tante, sentenze n. 240 del 2020, n. 86 del 2019, n. 178, n. 68 e n. 66 del 2018), la Corte ha escluso l’illegittimità costituzionale di norme regionali che non deroghino ai principi della pianificazione paesaggistica, valorizzando in via interpretativa il dato legislativo regionale. Qui la Corte ha inteso graduare il principio di leale collaborazione riconoscendo l’importanza del ruolo regionale. Va precisato che la materia della tutela del paesaggio è interessata dall’intreccio di diverse competenze esclusive dello Stato di natura finalistica o trasversale; l’esercizio di queste competenze spesso comprime considerevolmente la sfera di autonomia regionale. In virtù di ciò, il principio di collaborazione deve essere declinato nel senso che va riconosciuto alla fonte statale il potere di determinare gli standard strutturali e qualitativi, ma ciò non deve tradursi nel sacrificio totale delle competenze regionali.
Il secondo filone di interesse riguarda gli effetti della modifica della definizione di «faggeta depressa» introdotta dall’art. 9, comma 9, lettera d), numero 1), della legge reg. Lazio n. 1 del 2020. La modifica de qua abbassa da 800 a 300 metri sul livello del mare la quota al di sotto della quale gli ecosistemi forestali governati a fustaia a prevalenza di faggio sono definiti tali. Tale modifica legislativa ricade, secondo la ricostruzione del ricorrente, sull’ambito applicativo della disposizione di cui all’art. 34-bis l.r. 39/2002, ove si stabilisceper le faggete depresse il divieto di utilizzazione per finalità produttive, salvi i tagli necessari per la conservazione della faggeta o per motivi di pubblica incolumità. La modifica della norma esclude, dunque, dalla specifica tutela prevista nella legge stessa per le faggete depresse gli ecosistemi di quel tipo che si trovano fra gli 800 e i 300 metri sul livello del mare. La Corte chiarisce che il legislatore regionale nel caso in questione «non si è limitato a modificare una precedente legge regionale che aveva introdotto un vincolo in assenza di precisi e corrispondenti limiti derivanti dalla disciplina statale, ma, abbassando la quota altimetrica al di sotto della quale operano le norme di tutela delle faggete depresse, ha surrettiziamente aggirato il vincolo posto dalla norma interposta costituita dall’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004».Quest’ultima disposizione stabilisce che sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti a tutela paesaggistica i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento. Nello specifico la Corte costituzionale ha sottolineato che l’art. 3 del d.lgs. n. 34 del 2018, dopo aver stabilito che i termini bosco, foresta e selva sono equiparati, distingue a seconda che la definizione di bosco riguardi ambiti rientranti nelle materie di competenza esclusiva dello Stato o in quelle di competenza delle Regioni. In relazione alle seconde prevede che le Regioni, nel rispetto delle loro competenze e in relazione alle proprie esigenze e caratteristiche territoriali, ecologiche e socio-economiche, possono adottare una definizione integrativa di bosco, nonché definizioni integrative di aree assimilate a bosco e di aree escluse,tuttavia non possono in nessun caso ridurre il livello di tutela e conservazione assicurato dalla normativa statale sopra richiamata. Inoltre, secondo la Corte costituzionale, «seppur nella legislazione statale non esista una definizione di “faggeta depressa”, né è fissata una quota altimetrica al di sotto della quale le faggete possono definirsi tali, non si può non rilevare che la precedente scelta del legislatore regionale di proteggere tale ambito boschivo vale ad attrarre il bosco stesso – nei termini in cui la Regione ha ritenuto di tutelarlo – nella categoria dei boschi e delle foreste protetti dal citato art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004». Dunque, la modifica del legislatore regionale ha indebolito in maniera pregnante la tutela che aveva in precedenza adottato per la faggeta depressa, attraverso un intervento forzato sulla definizione legislativa che oltretutto non tiene conto della spiegazione offerta dagli studi della botanica e dalla geografia di questo particolare fenomeno naturale. Si tratta invero di un tipo di faggeta presente in alcune regioni italiane, fra cui il Lazio, che si caratterizza per la sua eccezionale capacità di sopravvivenza a basse quote, precisamente ad altitudini inferiori ai 500 metri sulle Alpi e sotto i 900 metri s.l.m. sull’Appennino. Come detto, la norma impugnata – vista in relazione alla previsione che consente le utilizzazioni, per finalità produttive, delle faggete depresse sopra i 300 metri sul livello del mare – si pone in contrasto con la previsione dell’art. 142, comma 1, lettera g), cod. beni culturali. La sentenza de qua, difatti, riconosce in modo abbastanza esplicito che la tutela del bosco e delle aree assimilate prevista dal legislatore statale può essere solo ampliata e rafforzata dalle Regioni. Dunque, il riparto di competenze definito dal Giudice costituzionale prevede che lo Stato si occupi della tutela e della conservazione del paesaggio attraverso la fissazione di standard adeguati e non riducibili e che le Regioni possano, nel rispetto di questi, promuovere livelli di tutela più elevati. Va rimarcato che il potere riconosciuto alle Regioni può incidere, seppur indirettamente, in modo consistente sulla tutela del paesaggio.
Procedendo con l’analisi dell’ultima censura dichiarata fondata dalla Corte, giungiamo al terzo profilo di questa sentenza meritevole di attenzione. Oggetto di impugnazione è stato anche il comma 16 dell’art. 9 della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, il quale, al fine di semplificare le procedure di approvazione della pianificazione forestale aziendale che contemplano interventi a carico dei beni paesaggisticamente protetti, ha introdotto un’autorizzazione paesaggistica preventiva che si intende acquisita per tutti gli interventi previsti nei piani stessi e resi esecutivi.
A ben vedere, non si tratta di una mera anticipazione temporale dell’autorizzazione paesaggistica, ma di un completo travisamento della ratio dell’art 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. L’istituto di cui all’art. 146, infatti, prevede un esame sul singolo progetto relativo ad interventi su immobili o aree di interesse paesaggistico. Seguendo questa impostazione, il bene paesaggistico assume un connotato di unitarietà e, di conseguenza, la sua tutela si esprime in un sistema di salvaguardia che prende in considerazione ogni progetto distintamente per valutare l’impatto che quella determinata opera può avere sul territorio. Questa interpretazione è corroborata anche dalla natura sostanzialmente discrezionale dell’autorizzazione paesaggistica, in virtù della quale la verifica della compatibilità di una trasformazione del territorio con notevole interesse paesaggistico deve essere fatta preventivamente e deve riguardare il singolo intervento perché, come precisa la Corte, «il senso della tutela assicurata dal codice dei beni culturali e del paesaggio si fonda su una prospettiva unitaria in cui le specificità dei singoli progetti non sfumano in una indeterminata visione d’insieme ma danno concretezza a un quadro che non può non essere unico». Dunque, la disciplina statale posta a tutela del paesaggio deve atteggiarsi come limite alla disciplina dettata dalle Regioni e dalle Province autonome nelle materie di loro spettanza. Sebbene prima facie la Corte sembri ripercorrere pedissequamente indirizzi già tracciati, in realtà, nella sentenza de qua, delinea in modo più netto la struttura piramidale delle competenze, in cui i diversi elementi in rapporto di interdipendenza si susseguono in modo gerarchico, concedendo però effettive opportunità di armonizzazione della governance del settore. Pertanto, come la stessa Corte afferma, è necessaria «una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un’attività pianificatoria estesa sull’intero territorio nazionale […] affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni» (sentenza n.66/2018). Alla luce di ciò, possiamo concludere che nell’attuale sistema, necessariamente proiettato in una dimensione multilivello, solo la cooperazione tra Stato, Regioni e gli altri livelli territoriali può favorire la composizione dei valori costituzionali e garantire una tutela coerente ed effettiva del paesaggio.
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