Caso Ilva: bilanciamento salute e lavoro in prospettiva eurounitaria

La sede ILVA di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, viene inaugurata nel 1965 nelle vicinanze del quartiere Tamburi, ricoprendo una superficie di 1500 ettari. È un impianto siderurgico a ciclo integrale, dove avvengono tutti i passaggi per trasformare le materie prime, come ferro e carbon fossile, in acciaio. La scelta della città non fu casuale, Taranto risponde a diversi requisiti: dispone di un’area pianeggiante, grandi quantità di calcare e manodopera qualificata; di fondamentale importanza è l’area portuale, necessaria per trasporto e spedizione di materiali. Le caratteristiche appena elencate sono componenti chiave per la produzione di acciaio, il quale necessita di tre elementi primari: il calcare, ricavato dalle cave locali, e i minerali di ferro e di carbone, che arrivano nella città di Taranto via mare. La produzione di acciaio, e l’inquinamento che ne consegue, avviene in diverse fasi; la prima è la cokeria, un impianto in cui il carbon fossile viene trattato ad alte temperature in modo da trasformarlo in carbon coke – più resistente – producendo allo stesso tempo diversi sottoprodotti gassosi, solidi e liquidi contenenti sostanze tossiche e cancerogene; successivamente il carbon coke viene mischiato con il minerale di ferro e il calcare in un impianto di agglomerazione, dove si formano altre sostanze inquinanti come le diossine. Negli altiforni tale agglomerato viene trasformato in ghisa attraverso flussi di aria calda – responsabili della formazione di fumi e polveri inquinanti che si riversano nell’aria – per poi essere trasferita nei convertitori dove viene trasformata in acciaio; anche in quest’ultima fase, si producono residui di scorie solide1.

Nel 1997 il Centro europeo ambiente e salute pubblica una delle prime relazioni in cui si evidenzia una situazione di pericolo per i cittadini residenti nelle vicinanze dell’acciaieria – classificate come zone ad alto rischio di crisi ambientale – causata dall’inquinamento dell’ILVA negli anni 1980-1987. Successivamente, nel 2012, viene elaborato il rapporto SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio Inquinamento), per il solo SIN (Siti di Interesse Nazionale) di Taranto, il quale raccoglie dati sulla mortalità e l’incidenza delle malattie dal 1995 al 2009. Dai risultati emerge che la percentuale di mortalità dovuta a malattie del sistema circolatorio, dell’apparato respiratorio e dell’apparato digerente supera quella attesa in entrambi i generi; per il tumore della pleura gli eccessi sono del 193% per gli uomini e del 167% per le donne negli anni 1995-2002; negli stessi anni gli eccessi per le malattie respiratorie acute sono del 49% per gli uomini e del 37% nelle donne2. Tra il 2003 e il 2009 gli ultimi dati sono leggermente inferiori, mentre nel caso delle malattie polmonari croniche tra gli uomini c’è un eccesso del 37%, diversamente dal primo periodo in cui non si erano registrati eccessi3.

A marzo dello stesso anno vengono disposte due perizie, una chimica e l’altra epidemiologica, che provano l’inquinamento di tutta l’area circostante lo stabilimento e la correlazione tra questo e l’acciaieria. Secondo la perizia chimica, l’ILVA produceva gas e vapori pericolosi per i lavoratori dell’industria e per i cittadini residenti nelle vicinanze; inoltre, si afferma che non erano state rispettate le misure di contenimento imposte per evitare la dispersione di fumi e che i valori di diossine, benzopirene ed altre sostanze non erano conformi ai requisiti previsti dalle disposizioni regionali, nazionali ed europee4. Secondo la perizia epidemiologica, come descritto precedentemente, le malattie cardiovascolari, respiratorie e oncologiche erano aumentate a causa delle emissioni nocive dell’acciaieria5. Nonostante, in seguito a tali valutazioni, fossero state disposte alcune misure preventive per tutelare l’ambiente, nel luglio del 2012 la GIP di Taranto Patrizia Todisco dispone il sequestro dell’area a caldo degli impianti ILVA – ovvero Area Parchi Minerali, Area Cokerie, Area Agglomerato, Area Altiforni, Area Acciaierie e Area GRF (Gestione Rottami Ferrosi) –  e dispone l’arresto di 8 persone, tra cui due componenti della famiglia Riva, la quale aveva acquistato l’acciaieria nel 1995. I soggetti furono accusati di non aver impedito lo sversamento nell’aria di sostanze nocive, di aver provocato e non impedito la contaminazione dei terreni dove sorgevano azienda agricole – causando l’avvelenamento di capi di bestiame – e di aver deturpato e danneggiato, sia dal punto di vista strutturale che del valore patrimoniale, edifici pubblici e privati ubicati nel quartiere Tamburi di Taranto e nelle vicinanze dello stabilimento6.

Il diritto a vivere in un ambiente salubre fa parte dei diritti umani classificati come di terza generazione, riconosciuti come tali solo negli ultimi decenni, circa dagli anni Sessanta. A livello nazionale le norme riconducibili a tale diritto sono gli Art. 9 e 32 della Costituzione italiana; se nell’art. 9 è espressamente affermata la tutela dell’ambiente inteso nel suo valore storico e culturale, nell’art. 32 non c’è un chiaro riferimento all’ambiente e alla sua tutela, ma, in seguito ad alcune sentenze della Corte EDU, viene sottinteso come complementare e necessario per la tutela del diritto alla salute. Questa correlazione salute-ambiente è ormai inscindibile: vivere in un ambiente salubre è considerato requisito necessario per una vita dignitosa. A livello comunitario, l’ambiente rientra tra le materie a competenza concorrente tra Unione Europea e stati membri; l’art.191 TFUE stabilisce che essa si impegna a tutelare e salvaguardare l’ambiente e la salute umana, affermando il principio del “chi inquina paga”. Tale principio è alla base della messa in mora avviata dalla Commissione europea nel 2013 (Procedura di infrazione n. 2013/2177- ex art 258 del TFUE) con la quale afferma che l’Italia non garantisce il rispetto da parte dell’ILVA delle prescrizioni UE sulle emissioni industriali e la dichiara, inoltre, inadempiente rispetto alla direttiva sulla responsabilità ambientale7.

Inoltre, è particolarmente rilevante l’articolo 8 CEDU, il quale dispone che “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”. In seguito a più sentenze che riprendono lo stesso principio la Corte EDU ha riconosciuto sotto l’alveo del suddetto articolo il diritto inviolabile ad un ambiente salubre; tra queste, nella sentenza Lόpez Ostra c. Spagna si afferma, infatti, che “Naturally, severe environmental pollution may affect individuals’ well-being and prevent them from enjoying their homes in such a way as to affect their private and family life adversely, without, however, seriously endangering their health.”8. L’inquinamento causato dall’inadempienza dello Stato agli obblighi positivi a suo carico, che provoca effetti diretti sulla vita privata o il domicilio di un individuo, rientra, quindi, tra i casi in cui è applicabile l’articolo 8. A tal proposito si osservano nuovamente i ricorsi 54414/13 e 54264/15 – alla base della sentenza “Cordella e altri c. Italia” – presentati dai cittadini di Taranto e comuni limitrofi alla Corte EDU, secondo cui la mancata prevenzione dei danni all’ambiente, il mancato rispetto delle norme ambientali e l’inquinamento delle acque, dei terreni e dell’aria della zona di Taranto portano ad una violazione non solo dell’art. 8 CEDU, ma anche dell’art. 2 il quale sancisce il diritto alla vita in quanto tale9. Secondo la decisione della Corte EDU, si ritengono violati da parte dell’Italia gli articoli 8 e 13 CEDU, rispettivamente perché il paese non ha intrapreso azioni e misure efficaci per limitare l’impatto ambientale dello stabilimento e perché si ritiene che non esistano per i ricorrenti rimedi effettivi per il risanamento della zona di Taranto10.

Alla luce dei dati analizzati, l’ILVA di Taranto rappresenta un enorme fattore di inquinamento per l’ambiente circostante, provocando danni sia a livello umano che a livello ambientale. Gli elementi che giocano a favore dello stabilimento e ne impediscono la chiusura sono principalmente il fattore occupazionale ed economico: l’ILVA offre numerosi posti di lavoro ed ha un ruolo strategico rilevante, nazionale ed internazionale, nella produzione di acciaio e nell’economia che ne consegue. La continua ricerca di un equilibrio tra tutela dell’ambiente e della salute, da una parte, e la salvaguardia dell’occupazione e dei profitti economici dall’altra, ha scritto e continua a scrivere la storia dell’acciaieria più grande d’Europa.

L’autrice Chiara Cannalire garantisce l’autenticità del contributo, fatte salve le citazioni di scritti redatti da terzi. Le stesse sono riportate nei limiti di quanto consentito dalla legge sul diritto d’autore e vengono elencate di seguito. Pertanto, l’Autrice è l’unica responsabile dell’eventuale violazione commessa con l’opera in merito ai diritti di terzi.

1) Nebbia, Giorgio. Come funziona l’Ilva di Taranto, e i suoi impatti. In greenreport.it, 2018;

2) Comba, Pietro; Conti, Susanna; Iavarone, Ivano; Marsili, Giovanni; Musmeci, Loredana; Pirastu, Roberta. Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica. in salute.gov.it, 2012;

3) Ibidem

4) Corte EDU sez. I, Causa Cordella e altri c. Italia (Ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15), 24 gennaio 2019, in hudoc.echr.coe.int;

5) Ibidem

6) Trib. Taranto 25 luglio 2012, N. 5488/10 R. G.I.P, in questionegiustizia.it;

7) Commissione europea, Procedura di infrazione n. 2013/2177, “Stabilimento siderurgico ILVA di Taranto”, in camera.it, 2013;

8) Corte EDU, Case of Lòpez Ostra v. Spain (Application no. 16798/90), 9 Dicembre 1994, in hudoc.echr.coe.int;

9) Cavanna, Valentina. Tutela multilivello di ambiente e salute:il ruolo di Cedu e Unione Europea alla luce del caso dell’Ilva di Taranto, in ambientediritto.it, 2020;

10) Ibidem