La figura di Giulio Regeni come visiting scholar

Conoscere la vicenda di Giulio Regeni significa ricordarlo in primo luogo come un cittadino italiano ed europeo che dal 25 gennaio del 2016 al 3 febbraio 2016 è stato vittima di torture e soprusi da parte degli apparati di sicurezza dello Stato egiziano. Il corpo ormai senza vita è stato ritrovato nei pressi di piazza Tahrir, la storica piazza della Liberazione nota per essere stata l’epicentro della “Primavera egiziana” di cinque anni fa ma che ad oggi sembra richiamare una “prigione a cielo aperto”, senza alcuna traccia di rivoluzione.1 In occasione dell’anniversario del 25 gennaio, il luogo simbolo era stato sottoposto ad una vera blindatura per evitare eventuali dimostrazioni anti-regime. Eppure è proprio di questo clima post-rivoluzionario che Giulio si è occupato con determinazione: come si organizzano i sindacati locali indipendenti che non godono di uno statuto officiale? Quali sono i diritti dei lavoratori in un tale contesto di piena repressione? Vengono garantite le libertà sociali per cui tanto ci si è battuti in nome del “Siamo tutti Khaled Said”?2 Questi sono quesiti che hanno portato un dottorando friulano di Studi Politici e Internazionali all’Università di Cambridge – saldo nella sua preparazione e rigoroso nella metodologia di ricerca da seguire – a recarsi presso l’American University al Cairo come ricercatore borsista (visiting scholar). Obiettivo è quello di approfondire tematiche con le quali si è già spesso confrontato in passato (stagista presso le Nazioni Unite, analista per Oxford Analytica) fino ad ottenere quella che nel percorso di ogni figura accademica si pone come il nucleo essenziale di una ricerca: conoscere una realtà e saperla comprendere. Nel 2021 il Ministero dell’Università e della Ricerca istituisce un bando per l’assegnazione di cinque premi per tesi di laurea magistrale e di dottorato intitolati alla memoria di Giulio Regeni. Il requisito principale consiste nell’aver svolto un elaborato sulla realizzazione “concreta della tutela dei diritti umani negli ambiti economici, sociali e politici”.3 Questa iniziativa si pone come una risposta da parte dell’ambito accademico di valorizzare ancor più il ruolo di giovani figure accademiche che danno e continuano ad offrire contributi nondimeno fondamentali. Le ricerche sul campo avvengono secondo un clima di amicizia e profonda umanità: si incontrino le persone e si ascoltino le loro storie. Il ricercatore ha trascorso gran parte delle sue giornate a intervistare venditori ambulanti nei pressi dei sobborghi di Heliopolis e della stazione di Ramses,4 perfezionando la sua conoscenza linguistica dell’arabo. È questo il lascito più grande che una figura come Giulio può lasciare al mondo delle scienze umane. Nel pomeriggio del 5 febbraio 2016 attivisti egiziani scendono per le strade e giungono fuori dall’Ambasciata italiana del Cairo, andando incontro alle leggi anti-proteste del regime. Un gesto di solidarietà che persiste anche quattro anni dopo il suo omicidio, quando tra le grida di protesta viene ricordato dai rivoluzionari egiziani: “ucciso come uno di noi”.5

Le condizioni di ricerca in Egitto

Difatti Giulio Regeni più di ogni altra cosa ha fatto parte di una comunità internazionale composta da ricercatori e da attivisti. Non è stato un agente dei servizi segreti in rappresentanza del mondo britannico, né tantomeno  un cervello in fuga per motivi di studio o di lavoro che nel più ingenuo dei modi “se l’è andato a cercare”.6 La sua morte, tuttavia, ha svolto il ruolo di contrappeso ad una bilancia che dimostra invece quali fossero le reali priorità del governo italiano nei suoi rapporti con l’Egitto. Probabilmente il riavvicinamento in corso tra i due paesi ne avrebbe profondamente risentito e i rapporti non sarebbero rimasti poi così intatti, se sin dall’inizio la vicenda fosse stata etichettata come vero e proprio caso politico e non solo giudiziario. Rimane doveroso sottolineare come non vi sia alcuna trama complottistica che regga per giustificare una vicenda nazionale di questa portata. Non è un incidente, nemmeno un caso isolato. La morte di Giulio rientra nel quotidiano clima di repressione e intimidazione della libertà accademica e di espressione in Egitto. Il Comitato per la Libertà Accademica della Middle East Studies Association (MESA) ha richiesto l’attenzione del governo egiziano in merito all’esito prevedibile del progressivo stato di repressione dei docenti e degli studenti.7 La Costituzione stabilisce l’indipendenza delle università (Articolo 21) e la libertà accademica (Articolo 23) ma il clima politico rende brutalmente sfavorevole l’ingresso di studenti e ricercatori, consente l’intervento dello stato nella governance delle facoltà, condanna a morte accademici.8 Le minacce alla libertà accademica in Egitto sono più grandi che in altri paesi. Le agenzie di sicurezza dovrebbero dunque agire entro il rispetto di un determinato quadro giuridico e devono poter essere chiamate a rispondere delle proprie azioni. Non è annientando la società civile che si può aspirare al suo sviluppo. Mettere in ginocchio la ricerca universitaria (un bene essenziale, non un lusso), sottoponendola al vincolo di una brutale sorveglianza, mina la ragione d’essere di chi da sempre si confronta con temi delicati e complessi: attingere all’ignoto e al diverso, per arrivare ad arricchire le proprie visioni dei principi della tolleranza e della libertà.

Chi tutela la ricerca sul campo nelle scienze umane?

A questo punto ci si interroga su quale organo istituzionale o accademico abbia di fatto autorizzato la ricerca partecipata – basata sulla raccolta di elementi sul campo – di Regeni. Al fine di garantirne la sicurezza, chi era incaricato a valutare i rischi fisici, psicologici, economici e morali?9 La prassi comune nelle ricerche sociologiche prevede l’intervento, previa consultazione, di un comitato etico indipendente che svolga il ruolo non solo di valutazione equilibrata e distaccata dei rischi, ma anche di accertamento perché le misure di prevenzione adottate siano di fatto sufficienti. Secondo alcuni accademici l’idea di fondo in merito alla vicenda è di evitare conflitti di interesse che possano portare a conseguenze drammatiche. L’Università di Cambridge, in quanto istituzione educativa, avrebbe sin da subito dovuto ricorrere ad un comitato etico indipendente e ottenere da essa un’autorizzazione obbligatoria perché ogni ateneo abbia “la responsabilità oggettiva della sicurezza dei suoi studenti”.10 Mentre esistono per la sperimentazione animale e per le ricerche cliniche e farmacologiche leggi che impongono la presenza di simili organi di tutela, per le ricerche in ambito sociologico (psicologico e socio-economico) ancora non sono previsti. Eppure, secondo altri, additare l’università come unica responsabile del tragico esito vorrebbe altresì dire che “la ricerca vada fatta solo quando non è intesa come problematica da chi detiene il potere”,11 quando costruire un pensiero critico basato sullo studio di una realtà complessa che più di tutte lo richiede viene portato avanti in maniera spaventosamente comoda. Ma è una sicurezza a vantaggio di quali interessi? Qual è il confine tra una ricerca tutelata ma allo stesso tempo libera? Indubbiamente, mettere in cattiva luce la figura della supervisor di Regeni, la professoressa Maha Abdel Rahman, descrivendola come una affiliata a gruppi terroristici o come una figura accademica inesperta, non contribuisce a tutelare un altro tipo di ricerca: trovare un capro espiatorio ignora e adombra la verità che questa vicenda meriterebbe di avere.

Le libertà sociali dei sindacati locali autonomi

Giulio Regeni non è stato un attivista, ma uno studioso che aveva passione per la politica.12 Il suo studio si focalizzava sui sindacati autonomi dei lavoratori egiziani che nel 2011 hanno messo in moto un attivismo politico irreversibile tramite iniziative a livello culturale, sociale e politico. In particolare, si è occupato dei diritti dei lavoratori di queste organizzazioni che – a differenza degli omonimi governativi (es. Sindacato di Stato) – non sono tollerati.13 In un clima post-rivoluzionario Giulio ha visto nei sindacati una “fragile speranza”14 per la martoriata democrazia egiziana. Appare evidentemente rischioso operare in un contesto dove il dissenso rispetto agli apparati di governo porta a conseguenti atti di repressione di cittadini egiziani e stranieri. Nel 2 marzo 2011 viene formalizzata la nascita della Federazione Egiziana dei Sindacati Indipendenti, dove l’atmosfera rivoluzionaria nella sua manifestazione strutturata non si limita a rivendicare il diritto ad avere elezioni e istituzioni democratiche sull’impronta del modello occidentale. Si parte dalle istanze dei lavoratori che reclamano libertà di associazione e diritto alla contrattazione collettiva, ma sono soprattutto le voci generali della popolazione a manifestare in nome di uno stato sociale adeguato e della possibilità di porsi nello spazio pubblico liberamente per poter elaborare una ricostruzione e uno sviluppo della società dal basso. Ciononostante, la storia delle organizzazioni sindacali indipendenti non è mai stata lineare, già a partire dal governo Morsi, quando gli attacchi fisici e legali da parte dei servizi di sicurezza nei confronti degli attivisti delle unioni sono nettamente aumentati. Un dottore di Matariya si è rifiutato di cucire dei punti sulla fronte di un poliziotto ritenendo che la ferita non lo richiedesse. Successivamente è stato minacciato dall’agente che dopo aver chiamato i rinforzi lo ha scaraventato a terra, schiacciandogli la testa sotto lo stivale.15 La situazione è andata deteriorandosi sotto al-Sisi, impedendo ogni spazio di dissenso. In un contesto simile, del sindacalismo egiziano non rimane che una targa impolverata sopra un portone e il silenzio di una piazza messa a tacere in nome della strumentalizzata lotta contro il terrorismo.

Il caso “non isolato” di un ricercatore

Il caso Regeni non rappresenta di per sé un’eccezione nell’ordinario Stato di polizia di al-Sisi. Sebbene il Ministro dell’interno Magdi Adb el-Ghaffar16 garantisca fermamente per la “stabilità” di un paese in cui non avvengono sparizioni, né violazioni dei diritti umani, i dati riportati dal Centro el-Nadim per la Riabilitazione delle Vittime della Violenza evidenziano tutt’altro. Il bilancio complessivo del 2015 conta 464 casi di sparizioni forzata e 1676 casi di tortura, di cui 500 con esito mortale.17 Ad oggi, all’interno delle carceri non ci sarebbero detenuti politici, né tantomeno si farebbe ricorso alla tortura, secondo il Ministro, eppure il contesto di totalitarismo nevrotico e paranoico in cui sembra operare l’Egitto comporta che chiunque minacci la presunta stabilità del potere sia additato come “terrorista”. Pertanto appare evidente come per un regime fondato sulla paura, sul ricatto e sulla brutalità dei servizi di intelligence (mukhabarat) e dei poliziotti in borghese (baltagiya), l’uccisione di Regeni non possa che cinicamente rientrare nel repressivo e dittatoriale ordine del giorno. Il 25 gennaio 2011 un corteo di migliaia di persone si è radunata a piazza Tahrir per manifestare contro la morte di Khaled Said, un giovane di Alessandria torturato ed ucciso dalla polizia sotto il regime di Mubarak. Khaled era seduto in un internet caffè quando due agenti in borghese sono entrati e hanno cercato di arrestarlo. Quando lui ha chiesto loro di mostrargli un mandato d’arresto, hanno iniziato a picchiarlo ferocemente.18 Per diciotto giorni una moltitudine di solidali cittadini egiziani ha vissuto sulla propria pelle la “rivoluzione egiziana” fino a quando l’annuncio delle dimissioni del dittatore ha risuonato per tutta la sera dell’11 febbraio 2011. Cinque anni dopo “la primavera” si alza il sipario su una tragedia non isolata che sarebbe stata oggetto di interpretazioni caleidoscopiche da parte dell’opinione pubblica ed accademica internazionale, spesso a danno delle verità non solo ignorate, ma addirittura sacrificate.

L’autrice Divina Marte Sabado garantisce l’autenticità del contributo, fatte salve le citazioni di scritti redatti da terzi. Le stesse sono riportate nei limiti di quanto consentito dalla legge sul diritto d’autore e vengono elencate di seguito. Ai sensi della normativa ISO 3297:2017, la pubblicazione in serie viene identificana con l’International standard serial number ISSN 2785-2695 assegnato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche.

1) Bellingreri, M. “Le voci delle primavere arabe dieci anni dopo”. Internazionale.it, 2021

2) Ibidem

3) “Giulio Regeni: bando per 5 premi istituiti dal MUR”. Crui.it, 2021

4) Walsh, D. “Perché un universitario italiano è stato torturato e ucciso in Egitto? Le stranezze del caso della scomparsa di Giulio Regeni”. Nytimes.com

5) Cornet, C. “La ricerca sul campo dopo l’omicidio di giulio Regeni”. Internazionale.it, 2020

6) Declich, L. Giulio Regeni, le verità ignorate. La dittatura di al-Sisi e i rapporti tra Italia ed Egitto. Edizioni Alegre, 2016

7) Zanini, C. “Come il caso Regeni ha spaccato l’accademia italiana”. Rollingstone.it, 2021

8)Fahmy, K. “La morte di Giulio Regeni e la tragica condizione della ricerca universitaria in Egitto”. Huffingtonpost.it, 2016

9) Ibidem

10) Della Sala, S.; Cubelli, R. “Regeni: ricerca, etica e responsabilità di Cambridge”. Fondazioneveronesi.it, 2020

11) Ibidem

12) Scaffidi, S. “Giulio Regeni, le verità ignorate. Intervista a Lorenzo Declich”. Carmillaonline.com, 2016

13) Zoja, F. “Giulio Regeni, un anno dopo la verità prende forma”. Ispionline.it, 2017

14) Ibidem

15) Ibidem

16) Ibidem

17) Ibidem

18) “Khaled Said: The face that launched a revolution”. English.ahram.org.eg, 2012