Anche se la stagione del “restiamo a casa” pare ormai archiviata, il dibattito sulla legittimità costituzionale del confinamento domiciliare generalizzato (meglio noto con il termine inglese “lockdown”) prosegue più vivo che mai. L’ultimo episodio in ordine di tempo è una sentenza dello scorso 17 febbraio con cui il Tribunale di Pisa ha assolto due cittadini accusati di violazione delle norme anti-COVID1. Gli imputati erano stati incriminati per essere usciti di casa senza una valida ragione nel marzo del 2020, quando era in vigore il lockdown. Come si ricorderà, la violazione delle norme anti-contagio costituiva inizialmente un reato, punito, ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, con l’arresto fino a tre mesi o una multa di 206 euro2. Successivamente, il decreto-legge n.19 del 25 marzo 2020 ha trasformato tale illecito da penale in amministrativo3. Per questo motivo, il Tribunale avrebbe potuto limitarsi ad assolvere i due imputati perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Al contrario, la giudice che ha emesso la sentenza, Lina Manuali, ha seguito un’altra linea di ragionamento, ritenendo di dover utilizzare la formula, più favorevole, secondo la quale il fatto non sussiste. Per arrivare a tale conclusione, il magistrato ha argomentato, come già fatto in precedenza da altre pronunce giudiziarie, che il lockdown è una misura incostituzionale, perché lesiva del diritto alla libertà personale tutelato dall’articolo 13 della Costituzione.
Come noto, invece, tutti coloro che difendono la legittimità del confinamento lo riconducono a un’altra disposizione, ovvero l’articolo 16, che disciplina la libertà di circolazione. Secondo il testo, “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”4. Al contrario, l’articolo 13 sancisce che “la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”5. Quindi, tale diritto può essere limitato solo dopo la sentenza di un giudice (che accerti, ad esempio, che la persona ha commesso un reato) e per disposizione di legge. Come noto, uno degli aspetti più controversi delle misure anti-COVID è il fatto che esse, fino a marzo 2021, siano state imposte non attraverso leggi statali, ma tramite decreti amministrativi, i famosi DPCM. Rinviando tale analisi, di natura formale, ad altro contributo, la nostra trattazione verterà invece sulla legittimità delle norme anti-contagio dal punto di vista sostanziale. Ciò vuol dire che ci chiederemo se, a prescindere dalla procedura con cui sono state imposte, le misure di confinamento siano ammissibili nell’ordinamento italiano. Esiste una base giuridica che legittimi il lockdown generalizzato?
Per motivi di chiarezza, è opportuno dividere la nostra analisi in due parti. Dapprima, indagheremo la legittimità del confinamento domiciliare delle persone risultate positive al virus SARS-CoV-2, sottoposte alla misura dell’isolamento fiduciario, e dei loro “contatti stretti”, soggetti alla quarantena. Per costoro, il divieto di uscire di casa appare del tutto ammissibile alla luce dell’articolo 5, par.1, lett. e) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che consente la “detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa”6. Tali individui sono, quindi, soggetti a una vera e propria privazione della libertà, anche se temporanea e, soprattutto, perfettamente legittima. Alcuni autori, infatti, sottolineano come l’isolamento fiduciario e la quarantena siano assimilabili a una vera e propria detenzione domiciliare7. Chi vi è sottoposto non può uscire di casa per alcun motivo e, se lo fa, commette un reato (“epidemia colposa”, punito dall’articolo 452 del codice penale con la reclusione fino a cinque anni, o dodici se ne deriva la morte di più persone)8. Tali disposizioni appaiono giustificate dalla necessità di impedire la propagazione del virus. Che succede, però, quando il confinamento viene imposto all’intera popolazione? Se è perfettamente plausibile che si vieti di uscire di casa alle due categorie di individui sopracitate, applicare la stessa misura alla totalità della cittadinanza solleva molti più dubbi. Come abbiamo letto, la Costituzione italiana pone condizioni severissime per limitare la libertà personale di un cittadino. Solo un giudice può disporre tale misura, e soltanto dopo che il soggetto ha commesso un reato o è sospettato di averlo fatto. Senza l’autorizzazione di un magistrato, le forze dell’ordine possono trattenere una persona solo per un massimo di quarantotto ore (art. 13, comma 3 della Costituzione). Pertanto, se escludiamo che un individuo si possa considerare “suscettibile di propagare una malattia contagiosa” per il solo fatto di trovarsi sul territorio nazionale durante la pandemia, dobbiamo necessariamente concludere che, se il lockdown impatta sulla libertà personale, esso è incompatibile con la Costituzione. Come detto, questa è esattamente la motivazione con cui la sentenza del Tribunale di Pisa citata in apertura ha assolto i due imputati. Nel farlo, essa si è allineata a tutta una serie di altre pronunce che avevano seguito esattamente la stessa linea argomentativa. Il primo a sostenerla era stato Emilio Manganiello, giudice di pace di Frosinone, ad agosto 2020: a suo avviso, il «divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare», ovvero «una sanzione penale restrittiva della libertà personale»9. In altre parole, vietare all’intera cittadinanza di uscire di casa, se non per pochi motivi, equivarrebbe a mettere gli Italiani agli arresti domiciliari, una misura che può arrivare solo a seguito di un procedimento penale. Le stesse identiche motivazioni furono poi riprese dal GIP di Reggio Emilia, che a gennaio 2021 assolse due cittadini accusati di aver fornito un falso motivo ai Carabinieri per giustificare il loro spostamento10, e dal giudice di Pace di Camerino, che ad aprile 2021 annullò una multa imposta per violazione del coprifuoco allora vigente11. In mezzo, nel marzo del 2021, la stessa giudice Manuali, che avrebbe poi emanato la sentenza che abbiamo analizzato in apertura, aveva già assolto due imputati in circostanze del tutto simili12.
Ovviamente, tutte queste decisioni sono state criticate dai sostenitori della legittimità del “lockdown”. Secondo questi autori, tale misura non colpisce la libertà personale, bensì la libertà di circolazione: come abbiamo letto, quest’ultima può essere limitata per ragioni di sanità pubblica ai sensi dell’articolo 16 della Costituzione. Il problema è che distinguere tra i due diritti è meno facile di quanto possa sembrare. Ciò nonostante, tutte le sentenze che abbiamo citato hanno differenziato chiaramente le due ipotesi, sostenendo che la libertà di movimento debba essere intesa come la possibilità di accedere a un luogo specifico. Pertanto, se il divieto riguarda non un territorio in particolare, ma la persona stessa, cui è impedito di uscire di casa se non per pochi motivi concessi dal Governo, allora il lockdown diventa una illegittima violazione della libertà personale. Di contro, gli autori che affermano che tale misura andrebbe ricondotta a una – perfettamente ammissibile – limitazione della libertà di circolazione basano la loro teoria su due argomentazioni principali. Da un lato, essi sostengono che le violazioni della libertà personale ex art. 13 consistono in azioni arbitrarie da parte dell’autorità, che comportano la degradazione giuridica di una singola persona o gruppo sociale. Al contrario, il lockdown ha carattere generale, riguardando l’intera popolazione, ed è motivato da un fine perfettamente legittimo, ovvero la salvaguardia della salute pubblica13. La seconda giustificazione, invece, evidenzia come, anche durante il confinamento, ai cittadini non fosse completamente proibito uscire di casa, essendo presenti le tre eccezioni che abbiamo imparato a conoscere (necessità, lavoro, motivi di salute)14. Quindi, non è possibile paragonare tale misura a quella degli arresti domiciliari, come fatto dalle sentenze che abbiamo citato.
Entrambe queste tesi, però, non sembrano condivisibili. L’idea che una degradazione giuridica possa essere provocata solo da una misura che non è “generale” sembra dimenticare che, in principio, ogni norma giuridica deve avere questa caratteristica: essa deve, cioè, colpire non un soggetto specifico, ma chiunque venga a trovarsi nella situazione disciplinata. Pertanto, è impossibile affermare che il lockdown rispettasse la libertà personale solo perché rivolto all’intera popolazione. L’articolo 13 della Costituzione, infatti, non è una norma meramente procedurale: esso rappresenta, invece, un principio generale dell’ordinamento, che vale, ad esempio, a limitare le ipotesi di carcerazione preventiva o come riferimento per le norme sulla tutela dell’integrità fisica e morale15. Infatti, come sottolineato anche dalle sentenze che abbiamo citato, un numero di ipotesi, dal prelievo ematico coatto all’accompagnamento dello straniero alla frontiera, passando per il DASPO, sono state fatte rientrare dalla giurisprudenza costituzionale nella limitazione della libertà personale.
Anche l’idea di giustificare il divieto di uscita attraverso le eccezioni non pare fondata. Da un lato, i motivi consentiti, come il lavoro o la necessità, non sono del tutto esclusi neanche durante l’applicazione di misure detentive come gli arresti domiciliari. E in effetti, mentre a una persona positiva alla COVID-19 potrebbe legittimamente essere impedito di lavorare, appare difficile ammettere che non le sia neanche permesso uscire di casa per estrema necessità o ragioni di salute. Pertanto, le tre eccezioni sembrano relativamente modeste. Ciò risulta ancora più evidente nel momento in cui i sostenitori della legittimità del “lockdown” citano, a sostegno della propria tesi, la possibilità di praticare esercizio fisico all’aperto: in questo modo, essi paiono ridurre la libertà personale, un diritto fondamentale, alla concessione di uscire a fare jogging. Zarra16, ad esempio, se da un lato sostiene che i provvedimenti del Governo abbiano rispettato lo Stato di diritto, afferma il contrario per quelli, più restrittivi, emanati della Regione Campania. Quest’ultima, però, si era semplicemente limitata a vietare ai suoi cittadini di praticare attività sportiva all’aperto, in aggiunta alle altre restrizioni decise a livello nazionale. Parrebbe, dunque, che, secondo l’autore, questa sia l’unica discriminante per parlare di violazione della libertà personale.
Sembra chiaro, allora, che se l’isolamento e la quarantena fiduciaria dei contagiati dal virus e dei loro contatti stretti sono limitazioni della libertà personale, è difficile non considerare tale anche il confinamento imposto alla totalità della popolazione. L’unica controargomentazione valida pare essere quella, proposta da una minoranza di commentatori, in base alla quale nemmeno le prime due misure andrebbero ricondotte all’articolo 1317. Secondo questi autori, tutte le limitazioni della libertà personale sono, di natura, coattive: vale a dire che, per obbligare il cittadino a rispettarle, lo Stato ricorre alla costrizione fisica. Questo non succede nel caso dell’isolamento fiduciario e della quarantena, dove la privazione della libertà arriva non nel momento in cui si violano le misure, ma solo dopo un regolare processo penale. Ovviamente, questa tesi è ancora più valida nel caso del mancato rispetto del “semplice” lockdown: qui, a partire dal decreto-legge n.19/2020, la sanzione penale coercitiva è scomparsa del tutto, lasciando il posto a una semplice multa amministrativa.
Anche in questo caso, però, il ragionamento non ci trova del tutto concordi. Che le persone sottoposte a isolamento e quarantena fiduciaria subiscano una privazione della libertà personale pare evidente. Non solo tali misure colpiscono specifiche categorie di persone (ovvero, i soggetti positivi alla COVID-19 e i loro contatti stretti) ma violarle «integra una nuova fattispecie di reato»18. L’idea che questo non rappresenterebbe una limitazione della libertà personale solo perché, prima di essere riconosciuti colpevoli di tale crimine, è necessario l’intervento di un giudice, sembra basata su una visione troppo semplicistica dell’articolo 13. Questo, infatti, non opera solo per impedire la detenzione arbitraria da parte delle forze di polizia: come abbiamo già visto, il concetto di “libertà personale” è molto più ampio, e si rifà all’idea dell’integrità psicofisica di una persona. Pertanto, esso pone anche un limite alla potestà punitiva dello Stato, pur se esercitata secondo tutte le procedure democratiche. Quindi, non poter mettere in atto un comportamento di per sé legittimo come uscire di casa perché, altrimenti, si commette un reato è, di fatto, una limitazione della propria libertà. Naturalmente, come già sottolineato, tale misura è perfettamente legittima nel momento in cui viene indirizzata a chi, risultato positivo a una malattia contagiosa, rischi di causare un’epidemia. Non si può negare, però, che «la condizione di chi non può allontanarsi dall’abitazione o dalla stanza di un albergo, che sia stato requisito allo scopo, non è poi molto dissimile da quella in cui si trova chi è agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare»19. Non ci sembra che questa verità possa essere negata solo perché la coercizione fisica non arriva immediatamente, ma dopo regolare processo penale.
Diverso, invece, è il discorso per quanto riguarda il più generale lockdown. A partire dal decreto-legge del 25 marzo 2020 la coazione è stata esclusa del tutto, trasformandosi in una sanzione amministrativa. Basta tale previsione per escludere che la misura impatti sulla libertà personale? Anche qui, a nostro avviso, la risposta non può essere completamente positiva. Le forme di degradazione che l’articolo 13 cerca di impedire, infatti, non si limitano solo alla costrizione fisica e, quindi, alla sanzione penale. La violenza, infatti, può ben essere esercitata anche al livello psicologico, e la libertà personale, come già detto, salvaguarda sia l’integrità psichica sia quella fisica. Così, essere costretti a restare nella propria abitazione, senza poter uscire se non per poche limitate eccezioni, pena una salata multa pecuniaria, potrebbe ben rientrare nell’idea di coercizione psicologica. La nostra tesi può essere ulteriormente confermata attraverso un ragionamento all’inverso: se impedire all’intera popolazione di lasciare la propria abitazione, tranne che per pochi motivi, fosse una limitazione della libertà di movimento, a cosa somiglierebbe una limitazione della libertà personale? É evidente che nemmeno uno Stato totalitario potrebbe avere la forza per impedire fisicamente a tutti i suoi cittadini di uscire di casa. Sembra, quindi, evidente che l’unico modo per implementare una misura simile sia ricorrere alle sanzioni, penali o amministrative. La coercizione fisica è assente solo perché non è materialmente possibile imporla all’intera popolazione. Quindi, l’unica argomentazione a favore della tesi della libertà di movimento sembra essere il fatto che l’Italia abbia optato solo per multe amministrative, eliminando del tutto le sanzioni penali. Secondo il Parlamento Europeo, infatti, i Paesi che hanno scelto di criminalizzare la violazione delle misure anti-COVID, come Francia e Spagna, hanno adottato un provvedimento sproporzionato20.
Riassumendo, possiamo affermare che, in uno Stato di diritto, è perfettamente legittimo isolare persone suscettibili di propagare malattie contagiose, o perché ne sono state infettate direttamente o perché sono venute a contatto con positivi. A consentirlo è la stessa Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Dall’altra parte, però, estendere un simile provvedimento all’intera popolazione ha più di un aspetto problematico. È interessante, sul punto, un’ordinanza dello scorso 27 dicembre21, con cui il GIP di Reggio Emilia ha rinviato al Tribunale dei Ministri una denuncia presentata contro Giuseppe Conte, ex capo del Governo che decretò il primo lockdown, per il reato di cui all’articolo 605 del codice penale, ovvero il sequestro di persona22. Nella sua ordinanza, il magistrato chiede di accertare se i DPCM emanati dall’ex Presidente del Consiglio abbiano imposto «limitazioni alla libertà personale, anche intesa come coercizione a non uscire di casa, mediante […] minaccia di sanzione (dapprima penale e poi solo amministrativa)»; e laddove i provvedimenti si limitassero a imporre un mero divieto di circolazione, anziché una proibizione totale di uscire di casa, il giudice invita a verificare se gli organi di Governo abbiano implementato le norme in modo tale da imporre, di fatto, una limitazione della libertà personale, ovvero «se sia stato fatto credere ai cittadini, mediante gli strumenti propri della comunicazione istituzionale (si pensi alle notorie F.A.Q. […]) che la portata precettiva delle norme in questione, sotto minaccia di sanzione, fosse davvero quella d’un divieto di uscire di casa», in quanto il sequestro di persona «è configurabile anche in ipotesi di coercizione mediante minaccia implicita». Quest’ultimo punto sembra confermare la tesi, da noi avanzata in precedenza, sull’irrilevanza dell’assenza di coazione fisica per qualificare il lockdown come limitazione della libertà di movimento o della libertà personale. Malgrado ci sembri improbabile che tale ordinanza conduca davvero all’apertura di un procedimento penale a carico dell’ex Presidente del Consiglio dei Ministri, essa appare come una buona esemplificazione delle polemiche che hanno circondato i divieti di uscire di casa, e che paiono inevitabilmente destinate a riapparire, con ancora maggior forza, nel caso in cui simili misure dovessero tornare a essere implementate.
L’autore Francesco Robustelli garantisce l’autenticità del contributo, fatti salvi i riferimenti agli scritti redatti da terzi. Gli stessi sono riportati nei limiti di quanto consentito dalla legge sul diritto d’autore e vengono elencati di seguito. Ai sensi della normativa ISO 3297:2017, la pubblicazione si identifica con l’International Standard Serial Number 2785-2695 assegnato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche.
1) Tribunale di Pisa, Sentenza 17 febbraio 2022, n. 1842;
2) Codice Penale, art.650. Disponibile sul sito della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (gazzettaufficiale. it);
3) Decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 – “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19” (GU Serie Generale n.79 del 25-03-2020), art. 4, par.1;
4) Costituzione della Repubblica Italiana, art. 16. Disponibile sul sito della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (gazzettaufficiale.it);
5) Ibidem, art.13;
6) Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, 1950, art. 5, par. 1, lett. e. Trad. it. disponibile sul sito ufficiale del Consiglio d’Europa (echr.coe.int)
7) vedi ex multis Belletti, M., La “confusione” nel sistema delle fonti ai tempi della gestione dell’emergenza da Covid-19 mette a dura prova gerarchia e legalità in Osservatorio Costituzionale. 1, 2020, 179; Von Bogdandy, A., Villareal, P. Derecho internacional público y la respuesta frente a la pandemia de Covid-19 in González Martín, N., Valadés, D. (a cura di), Emergencia Sanitaria Por Covid-19. Derecho Constitucional Comparado, Universidad Nacional Autónoma de México, 2018;
8) Codice Penale, art. 452, vedi supra, nota 2;
9) Giudice di Pace di Frosinone, Sentenza 29 luglio 2020, n. 516;
10) Tribunale di Reggio Emilia (GIP), sentenza 27 gennaio 2021, n. 54;
11) Gennaretti, G., Coprifuoco violato: ricorso. E il giudice di pace annulla la multa, ilrestodelcarlino.it, 2021;
12) Tribunale di Pisa, Sentenza 17 marzo 2021, n. 419;
13) Esposito, V., Emergenza Covid-19: nota in margine alla pronuncia del GdP Frosinone, studiocataldi.it, 2020;
14) Gigliotti, A., Sulla illegittimità dei DPCM in una recente sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, lacostituzione.info, 2021;
15) Caretti, P., De Siervo, U., Diritto Costituzionale e Pubblico, Giappichelli, 2014;
16) Zarra, G., Sulla compatibilità di misure restrittive, adottate in Italia e nella Regione Campania per contenere l’epidemia di COVID-19, con gli articoli 5 e 2 del Protocollo n. 4 CEDU in Diritti umani e diritto internazionale. Rivista quadrimestrale. Volume XIV, 2, 2020, pag. 583;
17) Morana, D., Le libertà costituzionali in emergenza in Marini, F.S., Scaccia, G. (a cura di), Emergenza COVID-19 e ordinamento costituzionale, Giappichelli, 2020, pag. 133 e ss.;
18) Lalli, A., Organi e procedure amministrative dell’emergenza Covid-19 in Marini, F.S., Scaccia, G., op.cit., 224;
19) Gatta, G. L., I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, sistemapenale.it, 2020;
20) Risoluzione del Parlamento europeo del 13 novembre 2020 sull’impatto delle misure connesse alla COVID-19 sulla democrazia, sullo Stato di diritto e sui diritti fondamentali (2020/2790(RSP), Considerando Y. Disponibile in italiano sul sito ufficiale dell’organo (europarl.europa.eu);
21) Tribunale di Reggio Emilia (GIP), Ordinanza 27 dicembre 2021;
22) Codice Penale, art. 605, vedi supra, nota 2.